Politico e Poeta d'altri tempi

  Ad Altamura, intanto, dopo gli anni del Fascismo, avevano ripreso vita numerosi movimenti. Grandi consensi circondavano il Partito d’azione, guidato da Tommaso Fiore e la DC, capeggiata da Giacinto Genco. La sezione socialista, che era stata fondata dal prof. Alfonso Marvulli alla vigilia del primo conflitto mondiale, fu riorganizzata. Nel 1945, gli iscritti furono 91. Nel 1946, ben 326. Sciolto il Partito d’Azione, al movimento aderì anche Tommaso Fiore che, in ogni caso, era sempre stato un punto di riferimento per tutti i socialisti altamurani.

   

Altamura, P.zza Repubblica.
Elezioni Amministrative (Maggio 1951)

 Le adesioni crebbero a valanga. Accanto al partito socialista operavano le cooperative dei cavamonti, dei muratori e quella per la vendita dei generi alimentari.

  Dal 1946 al ‘56, il professore consumò le sue più grandi battaglie politiche, contro i monarchici, i neo-fascisti, i democristiani. Fu, più volte, Consigliere Comunale e, naturalmente, Capogruppo in Consiglio; divenne anche Consigliere Provinciale. Fece crescere il PSI sino a raggiungere il numero di 11 Consiglieri Comunali. Convinto che l’emancipazione delle classi popolari passasse per un’alleanza con quelle borghesi, aprì il partito, anche contro la volontà di alcuni compagni operai, ai cc.dd. «colletti tesi».

  Memorabili gli affollatissimi «comizi» tenuti nella Piazza «Rossa» (Repubblica), ma non solo ad Altamura. Matera, Gravina, Poggiorsini, Spinazzola, Minervino, Grassano, Palazzo S. Gervasio, Corato, Ruvo, Toritto ed altri paesi limitrofi, fecero a gara per contendersi la presenza dell’ormai famoso oratore, del trascinatore di popolo, i cui comizi terminavano inevitabilmente con una festa: bande, fuochi d’artificio, e l’immancabile «inno dei lavoratori».  

  Nel biennio ’46 – ’48, l’intero Paese fu scosso da grandi tensioni. La «guerra fredda» era già iniziata. Gli americani, da un lato, e l’URSS, dall’altro, avevano cominciato a far sentire la loro influenza. All’interno del partito, l’atavico dibattito tra massimalisti e riformisti suscitò grandi contrasti sulla linea da seguire. Giuseppe Saragat ed il gruppo degli «autonomisti» (corrente minoritaria) puntarono sull’Occidente. I «fusionisti», guidati da Pietro Nenni, puntarono, invece, sul patto di unità d’azione con i comunisti. Al congresso celebratosi nel gennaio del ’47, lo scontro causò la scissione. Il gruppo di Saragat fondò il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), che in seguito (1952) diventò Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI), disponibile a collaborare con la DC nel governo del Paese. L’altra ala del partito confluì nel Fronte democratico popolare, che, al termine di un’aspra campagna elettorale, perse le elezioni politiche del 18 aprile ’48.

  

  Nell’arco di tempo che va dalla fine degli anni ’40 alla prima metà degli anni ’50, lo scontro politico – sociale divenne durissimo. Problemi vecchi e nuovi si mescolarono, rendendo infuocato il dibattito tra i partiti. La miseria, la disoccupazione e il divario sempre più profondo tra Nord e Sud, accentuarono la tensione. Nel Paese vi erano due milioni di disoccupati. Scioperi e manifestazioni si succedettero a ritmo incalzante, soprattutto nel biennio ’48 ’50.

  I contadini, in rivolta, occuparono le terre, invocando la riforma agraria.

Gravina, Gennaio '55

  Le ragioni della protesta erano note a tutti: nel Sud della penisola esistevano proprietà sterminate in gran parte rimaste incolte, mentre contadini ed esponenti dei ceti più deboli sopravvivevano a fatica. Comunisti, socialisti e CGIL guidavano scioperi ed occupazioni, ma, a volte, la protesta montava da sola.

  Furono anni di grandi battaglie anche qui sulla Murgia. Il prof. De Lucia, con la sua oratoria fiammeggiante, non si sottrasse allo scontro. Fece sentire la sua voce nelle piazze, nei luoghi istituzionali, ma anche attraverso i suoi scritti. In un articolo pubblicato in quel periodo, invocò a gran voce la riforma fondiaria, denunciando lo scandalo di 22mila ettari di terra in mano ad appena 90 famiglie e ponendo l’accento sulla maturazione del movimento bracciantile.

  In particolare, scrisse: «Gli scioperi del ’45, ’46, l’occupazione delle terre del ’49 e ’50, le vittorie elettorali amministrative e politiche che hanno avuto il crisma della fusione delle forze contadine con quelle artigiane sono una prova dell’avvenuta coscienza di classe. Il male, è vero, è ancora trincerato nella roccaforte delle novanta famiglie che posseggono oltre 22mila ettari di terra, ma è vero pure che le forze del bene in nome delle settemila famiglie contadine senza un palmo di terreno non danno tregua all’avversario.»
    

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