Politico e Poeta d'altri tempi

  Con il 1956 si chiuse il decennio più esaltante della vita politica di Dino De Lucia. Quell’anno segnò l’inizio di un inesorabile declino che molti lo hanno sempre detto apertamente lo condusse alla morte dopo diciassette anni, nel 1973. La causa immediata fu la candidatura alla Camera, che lo mise in aperta competizione con il Deputato socialista di Bari, On. Stefano Lenoci. Al resto contribuirono le invidie e le lotte intestine sorte all’interno di quella stessa sezione che aveva fondato, e che aveva voluto aprire al nuovo, per farlo crescere ed avanzare. Fu l’inizio della fine. Battuto elettoralmente, venne sconfitto politicamente, sottoposto ad un processo politico, accusato di accordi trasversali con candidati monarchici, addirittura espulso dal proprio partito. Che cosa può ferire mortalmente l’uomo se non le più cocenti delusioni nell’ambito delle passioni ideali? In quegli anni, le precedenti esperienze letterarie furono riprese ed esaltate. In esse, furono affogate amarezze politiche e personali.

  Il primo amore, però, non si scorda mai: della politica, il professore non poté mai fare a meno. Coltivò un’esperienza meno esaltante, ma, in ogni caso, piena ed attiva, fondando la locale sezione del partito socialdemocratico. Era il periodo del distacco progressivo dal mondo sovietico, delle prese di distanza dal socialismo reale, di un duro dibattito apertosi nella sinistra, a seguito degli atteggiamenti imperialisti ed antidemocratici assunti dall’URSS. Il rapporto segreto presentato da Kruscev al XX Congresso del PCUS, la rivolta ungherese, il nuovo clima instauratosi a livello internazionale tra i due blocchi, l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni XXIII, lasciava intravedere nuovi orizzonti. E Dino De Lucia, a livello locale, se ne fece interprete, partecipando attivamente alla crescita del Partito Socialdemocratico, collaborando alla rivista politica «sempre Avanti!», benché incassando ulteriori sconfitte elettorali, che gli procurarono dissesti economici ed indebitamenti.

  In quegli anni, tuttavia, pubblicò una raccolta di poesie, «I canti della Murgia», in cui profuse l’intero suo pensiero, la sua esperienza di figlio del popolo, le sue aspirazioni di giustizia sociale. Facendo trasparire senza alcun cenno di soggezione, una concezione «naturalistica» della condizione umana, similmente paragonata alle condizioni geografiche ed ambientali in cui si svolge il suo corso. L’opera ebbe un successo di critica di carattere elitario, a livello europeo, ma diventò una pietra miliare per tutti coloro che, in seguito, si cimentarono nel trattare letterariamente la «Murgia».

  Gli ultimi decenni della sua vita lo videro professionalmente impegnato come docente di Italiano e Storia presso l’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri di Altamura, «F. M. Genco», dove il contatto con i giovani certamente gli alleviò il peso di quei cinquantasette anni che, all’apparenza molti di più, lo videro puntuale all’appuntamento col suo amaro destino.

Congresso Nazionale del
Partito Socialista e del Partito
Socialdemocratico unificati
(Roma - Eur, Ottobre 1968)

  Lì fu amato e rispettato più che in ogni altro posto in cui aveva operato e lasciato il segno. I giovani studenti di quegli anni, infatti, non dimenticheranno mai quel professore «strano», che insegnava loro Dante e ne recitava a memoria i versi, senza l’ausilio di un libro e con una semplicità accattivante, e i cui insegnamenti giungevano inesorabilmente a trattare di socialismo e di democrazia.

  Gli ultimi anni, per una serie di combinazioni della vita, vollero anche offrirgli almeno tre doni: il primo fu il rientro nel «suo» partito, il PSI, a seguito della scissione col PSDI, nonostante fosse stato corteggiato con ogni mezzo da esponenti nazionali del Partito Socialdemocratico Italiano. Il secondo fu un breve incarico di assessore comunale al personale, che gli guadagnò la stima e l’apprezzamento dei dipendenti comunali; il terzo, e certamente più grande dono, fu la nascita, dopo 10 anni dal secondogenito, di una femminuccia, Marigrazia, che dovette abbandonare a soli tre anni, unitamente all’amata moglie Maria, e ai due figli maschi Antonio e Peppino.  
     

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